17 APRILE
GIOVEDÌ SANTO
Cari fratelli e sorelle in Cristo, questa sera, in tutto il mondo, la Chiesa si raccoglie per ricordare un momento sacro: la notte in cui Gesù ci ha donato l’Eucaristia e il sacerdozio, la notte in cui si è inginocchiato per lavare i piedi dei suoi amici. Il Giovedì Santo non è solo l’inizio del Mistero Pasquale; è la festa dell’amore e del servizio. Nel silenzio del cenacolo, Gesù ci ha donato più che pane e vino - ci ha donato Sé stesso, e ci ha mostrato che guidare significa servire, che amare significa chinarsi con un asciugamano. Il vescovo Tonino Bello, nei suoi ultimi giorni, ha esortato i suoi sacerdoti a essere legati “alla stola e all’asciugamano” - simboli dell’Eucaristia e del servizio umile. Questa immagine è potente: la stola, segno di unione con Cristo; l’asciugamano, segno di unione con il suo popolo. Ogni sacerdote oggi rinnova il suo “sì” al servizio, non solo nell’azione, ma nella presenza. E il Signore sussurra: rallenta, stai con il popolo, guarda i loro volti, amali.
E questa sera, mentre contempliamo l’ultima Cena, ci domandiamo: cosa significa essere discepoli eucaristici? San Paolo, nella seconda lettura, ci ricorda che partecipare all’Eucaristia non è semplicemente mangiare un pezzo di pane o bere un calice di vino, ma riconoscere il Corpo del Signore. “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.” (1 Cor 11,29). È un richiamo forte, un invito a guardare l’Eucaristia con occhi purificati, con un cuore pieno di stupore, gratitudine e timore santo. Per essere veri discepoli eucaristici, dobbiamo nutrire un amore sempre più profondo per Gesù presente nel Santissimo Sacramento – un cuore che arde di riverenza davanti alla Sua presenza reale. San Tommaso d’Aquino pregava: “Io non sono come Tommaso, non vedo le piaghe; ma Ti proclamo mio Signore e mio Dio.” E così, anche noi possiamo sussurrare: “Mio Signore e mio Dio, credo fermamente che Tu sei qui, che mi vedi, che mi ascolti - e Ti adoro con profonda riverenza.”
Ma c’è un secondo cammino in questo discepolato: essere eucaristici significa vivere secondo il modello di Gesù – Colui che prese, benedisse, spezzò e diede. E allora dobbiamo chiederci: cosa prendo dal mondo e perché? Sono fonte di benedizione per gli altri? Riconosco la fragilità – in me stesso, negli altri – e rispondo con misericordia? Come mi dono nell’amore? Cosa do, a chi do, e perché do? Queste domande ci plasmano. Anche i discepoli si ponevano domande quella notte. “Sono forse io, Signore?” domandano uno dopo l’altro, mentre Gesù annuncia il tradimento. E Pietro, con ardore, promette fedeltà, ma poche ore dopo rinnegherà il suo Maestro. Anche noi, come loro, siamo chiamati a riconoscere la nostra debolezza davanti all’amore che si dona senza misura.
Nel Vangelo secondo Matteo, vediamo Gesù affrontare il dolore del tradimento, la solitudine del Getsemani, e tuttavia continua a dare – prende il pane, lo benedice, lo spezza, lo dona. Anche quando sa che sarà lasciato solo, anche quando sa che verrà rinnegato. È qui la grandezza dell’amore eucaristico: dare anche quando non si è compresi, dare anche quando si è feriti.
E tuttavia, se guardiamo alla prima lettura, quella del profeta Giona, troviamo una figura che scappa dalla missione, che si rifugia nel sonno mentre tutto intorno c’è tempesta. È un contrasto forte con Gesù che, invece di fuggire, rimane, serve, si offre. Forse anche noi a volte, come Giona, fuggiamo dalla vocazione al dono, chiudiamo gli occhi alla sofferenza degli altri, cerchiamo rifugi sicuri invece della via del servizio. Ma l’Eucaristia ci chiama a svegliarci – a scendere dalla nave della nostra comodità e ad abbracciare la tempesta dell’amore che si dona fino alla fine.
Santa Teresa di Calcutta ci aiuta a comprendere: “Se comprendiamo davvero l’Eucaristia, se centriamo la nostra vita sul Corpo e Sangue di Gesù, ci sarà facile riconoscere Cristo nel povero affamato accanto a noi, nel malato abbandonato, nell’alcolista che evitiamo, nel nostro coniuge, nel nostro bambino irrequieto. Perché in loro riconosceremo le sue sembianze sofferenti: Gesù in mezzo a noi.” Seguire il Signore Eucaristico significa diventare come Lui - presi, benedetti, spezzati, donati. Che il nostro amore per Lui all’altare trabocchi in umili atti di compassione, che il nostro culto diventi servizio, la nostra devozione azione, la nostra comunione vita per il mondo.
E allora, la prossima volta che veniamo alla Messa, non sia per abitudine, ma con un cuore che riconosce che questa è la nostra prima Messa, l’ultima Messa, l’unica Messa. Che possiamo inginocchiarci accanto a Gesù questa sera, portando con noi la stola e l’asciugamano, e imparare ad amare come Lui ha amato - completamente, umilmente, meravigliosamente. Amen
don Titus